Che cos’e’ il disturbo Evitante?
Il disturbo evitante di personalità (DEP) è caratterizzato da una profonda convinzione soggettiva di scarso valore personale. Chi manifesta questo disturbo sperimenta un pervasivo senso d’inadeguatezza che si manifesta in primo luogo nella vita di relazione con eccessiva sensibilità alle critiche altrui e alla disapprovazione. Il tentativo di evitare queste esperienze dolorose e, soprattutto, la temuta conseguenza di sentirsi escluso dagli altri, induce la persona con disturbo evitante di personalità al ritiro sociale. Questi soggetti evitano di esporsi, di vivere il malessere dell’inferiorità e del senso d’inadeguatezza, autoescludendosi. Giungono pertanto a condurre un’esistenza priva di stimoli, triste, caratterizzata da un profondo senso di vuoto e solitudine. Nella maggior parte dei casi, non hanno un gruppo di amici, sul lavoro sono considerate dai colleghi persone timide, solitarie e, spesso, rinunciano alla carriera per non essere sottoposti a giudizi e valutazioni ed evitare imbarazzo e umiliazioni. Il desiderio di instaurare relazioni, condividere esperienze ed interessi, avere una vita di coppia, è tuttavia attivo, anche se inespresso, generando penose sensazioni di solitudine e alienazione. Se da un lato, così facendo, il soggetto si sente al sicuro, dall’altro questa condizione di solitudine è vissuta con tristezza, mitigata magari da attività e hobby che non prevedano un contatto con altre persone, come ad esempio la musica, la lettura e le collezioni di vario tipo.
Il disturbo è piuttosto comune nelle popolazioni cliniche con una prevalenza dell’1-10%.
Sintomi e manifestazioni del disturbo evitante di personalità
I sintomi del disturbo evitante di personalità tracciano un quadro piuttosto complesso, caratterizzato da molti elementi. Alcuni dei sintomi principali sono: un forte senso di inadeguatezza, un’estrema timidezza, la tendenza all’isolamento sociale, l’ipersensibilità alle critiche e una bassa autostima. Naturalmente, una spiccata timidezza, un atteggiamento particolarmente riservato o la tendenza ad essere apprensivi non sono indice di uno stato patologico.
Chi soffre di questo disturbo tende a non instaurare nuove relazioni sociali, all’infuori di quelle consuete con i familiari e gli amici più stretti, pensando di non essere attraente e di non avere argomenti interessanti da condividere con altre persone; manifesta, infatti, un elevato grado di inibizione e ritiro sociale, legato al fatto che ritiene che la valutazione negativa dagli altri sia un dato di fatto e preferisce tenersi fuori dalle relazioni, ad eccezione di quelle abituali e rassicuranti.
Lo stile di vita di chi soffre di disturbo evitante di personalità tende ad essere monotono e solitario, condizione che è vissuta con tristezza o fastidio: quando però il soggetto cerca di cambiare questa situazione si scontra con la sua paura di un giudizio negativo e del rifiuto. Queste persone sentono, come gli altri, il bisogno di una vita di relazione soddisfacente, che rimane, però, inespresso; questo comporta un estremo malessere che può essere sperimentato come senso di vuoto o come un doloroso senso di esclusione.
Il ricorso all’evitamento come unico comportamento autoprotettivo da ciò che provoca malessere e dalle proprie emozioni negative, non permette a queste persone, convinte di avere scarso valore, di sviluppare quelle risorse ed abilità necessarie nelle relazioni e di venire a contatto con le proprie emozioni. In molte persone che soffrono di questo disturbo, si evidenzia una condizione di alessitimia, cioè una mancanza di consapevolezza dei propri stati emotivi ed una incapacità descrittiva degli stessi, che conferisce loro un alone di opacità e piattezza espressiva. L’elemento affettivo determinante è comunque rappresentato dalla vergogna. Queste persone temono le situazioni dove devono mostrare aspetti di sé poiché si aspettano che in tal modo le loro inadeguatezze siano esposte alla vista di tutti. Possono vergognarsi per molti e differenti aspetti, come percepirsi deboli, incapaci, fisicamente o mentalmente inadeguati, disgustosi.
Per poter vivere sensazioni positive e gratificanti, anche se momentanee, spesso, coltivano interessi ed attività solitarie (es. musica, lettura, chat); in alcuni casi ricorrono anche all’uso di sostanze, in particolare dell’alcool, per sedare il malessere interiore. Talvolta è possibile che questo stile di vita povera di stimoli e monotona contribuisca all’insorgenza di una sintomatologia depressiva.
Quando un soggetto evitante stabilisce una relazione, comincia a sentire che l’altro è interessato, tende ad assumere un atteggiamento sottomesso per il timore di perdere l’altra persona e ritornare nella solitudine. Con il passare del tempo tale situazione è però vissuta come uno sfruttamento e, di conseguenza, la relazione diventa costrittiva. L’emozione che sente è la rabbia, ma non è in grado di capirne l’origine e di gestirla e di esprimerla, ed il comportamento è imperniato dal desiderio di fuggire qualsiasi discussione con l’allontanamento. I soggetti con questo disturbo, infatti, possono non tollerare l’idea di dover vivere il rapporto di coppia come se fosse l’unica via d’uscita ed esplodere quando devono affrontare le difficoltà con il proprio partner.
Il DEP può essere considerato il disturbo dell’intimità, dove molto forte è il desiderio di stabilire delle relazioni strette, all’interno delle quali, però, i soggetti si sentono esclusi.
Diverse persone, che soffrono di questo disturbo, riescono a mantenere un discreto funzionamento sociale e lavorativo, si limitano a vivere le ristrette relazioni abituali, generalmente quelle familiari. Se il loro sistema di supporto cede, tuttavia, vanno incontro a depressione, ansia e collera. L’umore depresso è una delle motivazioni che può spingerle a richiedere l’intervento psicologico.
Le cause di questo disturbo non sono definite in maniera chiara e univoca, spesso si tratta della combinazione di più fattori sociali e biologici. Spesso chi è affetto da disturbo evitante di personalità ha avuto genitori rigidi ed esigenti oppure esageratamente protettivi, storie di abuso fisico, oppure esperienze negative con i coetanei durante l’infanzia.
Il comportamento evitante spesso inizia nell’infanzia o nella fanciullezza con timidezza, isolamento e timore degli estranei e delle situazioni nuove. Sebbene la timidezza nella fanciullezza sia un comune precursore del DEP, nella maggior parte degli individui tende a svanire gradualmente con la crescita. Al contrario, gli individui che sviluppano il DEP possono diventare progressivamente più timidi ed evitanti durante l’adolescenza e la prima età adulta, quando le relazioni sociali con persone nuove diventano particolarmente importanti.
Cura e trattamento del disturbo evitante di personalità
Superare il disturbo evitante di personalità è possibile. Ci sono infatti diversi tipi di trattamento, sia farmacologico che psicoterapeutico, spesso associati a strategie comportamentali.
Nella cura del disturbo evitante di personalità ha un posto molto importante la psicoterapia, effettuata sia a livello individuale che di gruppo con lo scopo di aiutare il paziente a controllare l’imbarazzo all’interno delle situazioni sociali e ad affrontare quindi con meno timore le relazioni con altre persone. La terapia di gruppo è efficace, soprattutto perché può aiutare chi soffre di questo disturbo a riconoscere in modo appropriato l’atteggiamento degli altri nei propri confronti e a capire che la critica non è l’unica reazione possibile da parte del prossimo; ad essa possono essere associate strategie comportamentali e training assertivi per migliorare le abilità sociali e l’autostima dei pazienti.
In particolar modo, nella prima fase della terapia è importante un approccio psicoterapeutico individuale che aiuti il paziente a definire e riconoscere i propri pensieri e le proprie emozioni ed essere successivamente pronto a cercare di affrontare le situazioni problematiche. E’ necessario intervenire subito su questo aspetto, poiché la non consapevolezza degli stati di sofferenza emotiva, può comportare il fallimento degli interventi di comprensione e condivisione effettuati in skills training o terapie di gruppo.
ll trattamento individuale cognitivo – comportamentale, agisce attraverso il recupero della percezione delle proprie emozioni, l’identificazione di pensieri, emozioni e stati fisici che provocano sofferenza, il riconoscimento di cicli di relazione disfunzionali e permette di:
aiutare il paziente a interpretare il funzionamento mentale degli altri abbandonando il proprio punto di vista
evitare di “evitare”
sperimentare un senso soggettivo di appartenenza e di condivisione.
Tra i rimedi per il disturbo evitante di personalità ci sono anche i farmaci, che possono venire utilizzati in alcune fasi per tenere sotto controllo sintomi come, ad esempio, ansia e depressione.
Questo disturbo va distinto da altre patologie con caratteristiche simili con cui può essere confuso come ad esempio la fobia sociale o il disturbo schizoide di personalità, va differenziato dai disturbi d’ansia o dalla depressione, che possono rappresentare fasi transitorie del disturbo legate alle diverse circostanze di vita.
È quindi necessario rivolgersi a persone competenti che possano effettuare una diagnosi seria e accurata.